“L’uva vuol dire il buono, il bello, il tanto.
E porta bene”
Giovanni Pascoli, La vendemmia, 1909
Gli oggetti della cultura materiale che raccontano il percorso dalla coltivazione dell’uva alla vinificazione sono collocati nella Cantina dul Fael, dedicata a un personaggio entrato a far parte della memoria storica del paese. A Orino era d’uso coltivare la vite disposta in filari su terrazzamenti rinforzati da muretti a secco, anche per tracciare i confini tra le diverse proprietà.
La potatura delle viti avveniva in febbraio, momento della stagione invernale in cui le gemme da fiore e da legno sono ben formate. Oltre a ciò si aggiustava la forma della pianta legando i tralci col salice. Nello stesso periodo si concimava la vigna. Nel mese di maggio, alla spunta delle prime foglie, questa veniva trattata soffiando sulle piante dello zolfo ad azione antiparassitaria. L’evoluzione del soffietto fu la pompa a spalla – dotata di cinghie, tubo di plastica e spruzzatore – che veniva utilizzata azionando ritmicamente con una mano la leva della pompa e irrorando con l’altra le piante, a cadenza regolare in base alle condizioni atmosferiche. La raccolta dei grappoli veniva fatta manualmente. Per il trasporto si utilizzavano gerle oppure contenitori con spallacci come la brenta, fatta di doghe di legno rinforzate con fascette metalliche. La vendemmia veniva fatta nei cortili coinvolgendo tutta la famiglia ed era finalizzata all’autoconsumo. In primo luogo si pigiavano le uve in tini di legno precedentemente ammollati in acqua. Nella cantina è presente una tramoggia, utilizzata per schiacciare i grappoli una volta pressati dall’azione di un meccanismo rotante. Il succo derivato dalla pressione e dallo schiacciamento degli acini fermentava nei tini. Il “ribollir de’ tini”, diventato famoso anche fra i non addetti ai lavori grazie alla poesia San Marino del Carducci, si riferisce al processo di fermentazione spontanea a opera dei lieviti presenti nell’aria, che metabolizzano gli zuccheri dell’uva con formazione di alcol etilico e anidride carbonica (“fermentazione alcolica”). Le bucce, che tendevano a risalire, venivano quotidianamente spinte verso il basso con l’utilizzo di bastoni. Quando il mosto smetteva di ribollire, si proseguiva con la svinatura: si separavano le vinacce, ossia bucce e semi, e il mosto filtrato veniva versato nelle botti per andare incontro a una seconda e più lenta fermentazione. Le vinacce potevano essere pressate col torchio, uno strumento dotato di massiccio basamento di metallo con scanalature di raccolta, e potevano avere diversi utilizzi. Le botti per la fermentazione del vino erano costituite da doghe di legno arcuate e cerchi di metallo disposti ortogonalmente alle doghe a rinforzare la struttura. Il vino veniva spinato dalle botti per essere consumato direttamente oppure travasato in damigiane o fiaschi. L’imbottigliamento del vino si concludeva con la chiusura della bottiglia con un tappo di sughero.
La cantina dul Fael si trova qui