Dal 2002 Orino è un borgo d’arte con sculture e installazioni tra le vie del centro storico.
Si tratta di opere d’arte contemporanea realizzate da artisti locali ed emergenti.
Anny FERRARIO
Memorie ancestrali emergono dalle fratture della materia. E’ del materiale povero, dal ferro che reca nel colore lo scorrere del tempo e delle stagioni, fatte non solo di sole e di pioggia, ma di lotte e di tregue, di furiose battaglie e di deboli negozianti, che esce splendente un’ ammonite, presagio di un tempo nuovo che l’uomo potrà costruire in un’avventura fatta di fede e conoscenza.
C’è, nella preziosa forma a spirale dell’antico fossile sopravvissuto a devastazioni e a sconvolgimenti, l’eco delle trascorse generazioni, delle frustate del vento, dei moti del a terre e delle acque, dei segni e dei sogni dell’uomo. Una forma perfetta, questa dell’ammonite, che si diparte da un nucleo centrale per aprirsi a nuove evoluzioni: ed è la lucentezza dell’ottone a catturare l’occhio e la mente, per condurli prima all’origine della vita e per proiettarli dopo negli spazi ancora infiniti, tutti da scoprire. Solo prendendo coscienza del Passato e delle esperienze trascorse, l’uomo di oggi può guardare davanti a se e affrontare il cammino della verità. E forse in questo sta la vera felicità.
Nota biografica: nata a Como, vive e lavora a Ispra (Va). Dopo l’esperienza della pittura a olio, si è specializzata nell’incisione, interessandosi in particolare alla tecnica Goetz. Produce sculture in terracotta e ferro, monili e piccole sculture in fusione a cera persa in bronzo, argento e ottone.
Ha insegnato tecniche calcografiche presso il Centro di Cultura e Creatività “Cascina Stai Vitale” di Osmate (Va). Nel 1992 ha aperto a Gemonio (Va) l’Atelier Capricorno e recentemente lo spazio espositivo “Alchimia” nel centro storico di Luino. L’attività espositiva comprende numerose mostre personali in Italia e all’estero.
Si segnalano le “installazioni” realizzate negli anni 1984 – ’88 e nel 1992 in qualità di artista appartenente al Gruppo Dolce Arte Cascina Stal Vitale, Osmate (Va).
Enzo CAPOZZA & Maria Rita FEDELI
Due giovani uniti da un sodalizio artistico: Enzo Capozza e Maria Rita Fedeli, diplomati all’Accademia milanese di Brera, hanno iniziato nel 1995 un percorso segnato da partecipazioni e riconoscimenti che hanno premiato la loro capacità plastica, un’arte che si confronta m modo attivo e dinamico con lo spazio e che si avvale sia di materiali nobili sia di materiali poveri, quali il legno e il ferro.
L’esperienza maturata coi grandi maestri, quali Arnaldo Pomodoro e Eliseo Mattiaci, ha permesso loro di maturare un linguaggio personale, ricco di simboli e di rimandi ancestrali. Le loro architetture, animate da una carica biologica e vitale dialogano con l’aria e con la natura: architetture primarie, semplici, spesso lineari, che recano il segno di un’interpretazione cosmologica che unisce le tradizioni più antiche e le scoperte più recenti della scienza. Così, la morte dì una stella genera la nascita di un’altra dimensione: il buco nero, conseguente all’esplosione di una stella, apre un varco che attrae a sé luce, tempo, spazio. La struttura centrale realizzata in cemento altro non è che una virtuale porta per una dimensione ancora ignota, tappa necessaria per progressione della conoscenza. E, come ogni porta, anche questa va aperta e sorpassata: non più l’atavica paura del buio e del mistero, ma la fede che la realtà da scoprire aprirà a sua volta orizzonti nuovi, tutti da esplorare.
Nota biografica: Enzo Capozza e Maria Rita Fedeli, nati rispettivamente a Varese e a Tradate nel 1973, hanno conseguito, dopo il diploma all’Accademia di Brera, la specializzazione nella lavorazione artistica dei metalli presso il Centro Artistico di Pietrarubbia, in provincia di Pesaro.
Numerose le partecipazioni a Collettive in Provincia di Varese, in Toscana e in Sardegna. Hanno realizzato opere pubbliche a Castello di Pietrarubbia (Ps),al Museo Pagani di Castellanza (Va), al borgo di Olona di Induno Olona, a Pontedera, in provincia di Pisa.
Enzo LUCENZ
Acciaio e legno per un’opera che sprigiona una forza plastica di straordinaria energia. Si sente vibrare, nelle pieghe e nelle fratture dell’acciaio, la tensione della forza primitiva e primigenia che, per volontà dell’artista, è fuoriuscita dal nucleo originano.
Ma l’impetuosità dell’esplosione e la velocità stessa dell’erompere del magma infuocato della materia sono stati sapientemente calibrati dall’intervento dell’artista che ha saputo così dare l’ imprimatur alla materia: dalla potenza all’atto, dall’informe alla forma, dal caos al cosmo
Nel processo di trasformazione alchemica, l’acciaio, materiale di per sé freddo e anonimo diventa volume e architettura, capace perfino di comunicare: da un lato trasmette nella forma a volte tagliente la sofferta e lacerante genesi, avvenuta nel segno del fuoco, dall’altro introietta in sé, attraverso la superficie specchiante la mobilità del reale, fatto di aria, di cielo, di acqua e di neve, di sguardi perfino. In più, il connubio tra acciaio e legno, due materiali antitetici, uno freddo e l’altro caldo, da all’opera un significato preciso: l’attuata possibilità di coniugare gli opposti perché è dagli opposti che nasce la vita.
Enzo Lucenz costruisce così un suo progetto preciso all’insegna di un nuovo “de rerum natura”: l’arte garantisce la via di scampo al disordine, alla violenza, allo squilibrio.
Un messaggio che si avvale anche del gesto dell’artista che interviene cromaticamente sulla materia lignea: un’adesione mentale e morale soprattutto, nella piena e cosciente rivendicazione di una libertà che è sfida alla banalità, alla prevaricazione e ai soprusi, all’uso indiscriminato e all’abuso di una tecnologia che opera spesso contro natura.
Un’opera forte per un messaggio forte: ancora una volta l’arte diventa oracolo.
Nota Biografica: Enzo Lucenz, nato il 18 maggio 1939, diplomatosi all’Accademia di Brera a Milano, dopo aver trascorso un intenso periodo a Parigi, essenziale per la sua maturazione artistica e umana, ha frequentato attivamente l’ambiente milanese degli anni settanta, riuscendo a imporsi a livello internazionale, attraverso mostre e interventi ambientali soprattutto nei paesi dell’America latina. Il suo studio è a Orino, in provincia di Varese.
Giorgio ROBUSTELLI
E’ nella terra che si legge l’impronta di Giorgio Robustelli: e nella terra un’esplosione di colori che s’irradiano in totale libertà. Prima di tutto c’è la forma, quella naturale della terra che si espande per moto proprio e per forza immanente: è il principio attivo e di per sé creativo che potenzialmente contiene tutte le forme. Poi c’è il gesto dell’artista, un gesto veloce, quasi istintivo, che nasce dal di dentro, dall’intuizione poetica che fa di Robustelli Giorgio un autentico artefice della materia.
Segno e colore assieme per un’esplosione di energia. E la terra diventa il luogo destinato ad accogliere questa concentrazione di forze primigenie che si dipartono in modo attivo e dinamico. E con gli ossidi e gli smalti vibra il ritmo dell’universo intero. Un ritorno alle origini nel sigillo del fuoco.
Nota biografica: Giorgio Robustelli, nato a Cunardo (Va) nel 1943, si forma artisticamente presso il laboratorio artigianale di famiglia, divenuto centro di incontri d’arte a livello nazionale e internazionale. Ha svolto attività di docente e coordinatore nei Corsi per Ceramica d’Arte promossi dalla Comunità Europea.
L’ attività espositiva, che decorre dagli inizi degli anni settanta, lo vede presente a numerosi appuntamenti: si segnalano le partecipazioni alle edizioni del Concorso Internazionale Ceramica di Gualdo Tadino (Pg), alle Mostre d’Arte Contemporanea di Castellamonte (To), al Museo di Cerro di Laveno Mombello (Va), alla Biennale Fortezza Priamar di Savona, alle Rassegne Nazionali di Albissola (Sv).
Opere di Giorgio Robustelli sono presenti nei Musei di Cerro di Laveno Mombello (Va), Maccagno (Va), Castellamonte (To), Villanova (Mo), Castelli (Tè), Gualdo Tadino (Pg), Gallarate (Va), Barcellona (Spagna).
Silvio MONTI
Con quel cipiglio ironico che lo contraddistingue, Silvio Monti, artista dalla forte carica gestuale e dalla veloce sintesi, ha voluto dedicare un muro di Orino a Magritte, complice la presenza di un lampione, che allude, con forti valenze psicologiche alla sfera dell’inconoscibile, a quel mondo ancestrale che la luce della ragione indaga per scoprirne significati ed enigmi. Ma l’occhio, dipinto di rosa e azzurro, ripete in maniera ossessiva, un ben altro occhio, quello che si apre sul timpano della Chiesa Parrocchiale. I due elementi, lampione ed occhio, si sono così incontrati e ravvicinati per un’esperienza visiva unica e sorprendentemente narrativa, dato che –come commenta l’artista- lo stesso Magritte “ha dormito qui”: e il racconto, che si snoda attraverso i richiami dell’analogia, è pervaso dalla lucida atmosfera di sogno, che caratterizza la poetica dell’artista di origine belga, che fu esponente di punta del gruppo surrealista. Reale e immaginari convivono in uno spazio simbolico che supera la mera dimensione spaziale e temporale: è il luogo dell’evasione fantastica, dell’avventura mentale ed emozionale.
Nota biografica: Silvio Monti, nato a Borgomanero (NO) nel 1938, ha frequentato la “Spolecznos Akademia Uniwersytetu Batorero”. Allievo di Marian Bohuz Szysko, ha frequentato lo studio di Oscar Kokoschaka. Dopo i soggiorni a Londra, Parigi, Bruxelles, Wiesbaden, Dublino, Beyrouth, Roma, si stabilisce nel 1963 a Varese, dove vive e lavora. L’attività espositiva, lo vede presente in mostre personali a Londra, Beyrouth, Milano, Roma, Siena, Ginevra, Ravenna, Bologna, Stresa, Rocca di Angera, Parma, New York, Somma Lombardo, Varese, Parigi, Dublino, Osmate, Voltorre, Gavirate, Ferrera, Sesto Calende, Lugano, Daverio, Gorla Maggiore, Bruxelles. Opere presso Musei ed Enti Pubblici: Palazzo dei Diamanti, Ferrera – Galleria d’Arte Moderna, Gallarate, – Museo d’Arte Moderna, Varese – Video di C. Ansaloni, Centro Video Arte, Palazzo dei Diamanti, Ferrera – Università dell’Insubria, Sala del Senato Accademico, Varese – Università dell’Insubria, Facoltà di Biologia, Varese. Paint Session – European Tour 2003 – Silvio Monti e Angelo Branduardi in Altro e Altrove.
Gianni MACALLI
Nuovi Segnali Urbani per una nuova società: all’università del concetto direzionale si associa l’elemento fisico e temporale che vuole dare una connotazione più visiva e tangibile. Contro l’omologazione della società di massa, che si muove secondo segnali asettici ed impersonali, si pone la provocazione di Gianni Macalli che, senza, senza togliere nulla al valore del segno-simbolo, lo arricchisce di elementi legati ad un preciso momento storico del vivere sociale e civile. L’emblematico cartello segnaletico associa, in posizioni diametralmente opposte lo scorcio reale della via, collocata a sinistra secondo un taglio prospettico verticale, e l’immagine di un cittadino posta sul lato destro. Sono queste le “sovrapposizioni temporali” del nuovo linguaggio iconico, che integra l’uomo nella grande scenografia urbana. Paesaggio, cose e persone, dunque, colte nella loro autentica dimensione naturale, libera da imposizioni, schemi stereotipati e travestimenti. E le erranze segnaletiche, che percorrono le strade della nuova città, più vicina ai bisogni concreti dell’uomo comune, diventano tappe e cippi di una nuova urbanità: un’opera comunque aperta a molteplici significati, tanti quanti saranno gli sguardi che si lasceranno guidare dal bianco e dal blu che, luminosi e rifrangenti, indicheranno la via da percorrere.
Nota biografica: Gianni Macalli, nato a Crema nel 1957, risiede a Trescore Cremasco (Cr). Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti “Carrara” in Bergamo con il Direttore E. Maffioletti e nel 1989 ha conseguito il diploma con D. Esposito, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in Milano. Nel 1996-1997 ha collaborato come assistente alla scuola di affresco del M.° Carlo Fayer ad Arcumeggia (VA). Nel 1996 crea con Bianchesi e Bressan il TAG –Traslatable Art Gallery. Dal 1997/’98 insegna Discipline Pittoriche al Liceo Artistico Statale di Crema. Dal 1999 realizza in Crema l’opera pubblica La Fontana di Piazza Fulcheria e nel 200 la Video-installazione-performance “Urbanistica nello spazio Poggigroup di Crema. Dal 203 è docente del corso di Tecniche Artistiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bergamo. Nel 2003 partecipa a “Granai” –Fornaci IBIS- Cunardo (VA).
Gianni ROBUSTI
Una maschera per ritornare alle origini, per ritrovare la perduta felicità: nel segno di Ricasso, il grande maestro spagnolo appassionato dell’arte africana, Gianni Robusti propone questa opera che, per quanto estrosa e curiosa, esplora le potenzialità della forma essenziale e primordiale. La contaminazione tra vita ed arte, che si avvale di materiali di recupero, conferisce al volto una dimensione plastica che supera la semplice scomposizione angolare. Il taglio netto ed incisivo nella lamiera, che lascia aperti spazi sotterranei, e l’assemblaggio di forme circolari e tubolari, creano un insieme tridimensionale che, senza cadere nel grottesco e nello spregiudicato, ricorda un’esperienza ludica fatta di sensazioni fresche e spontanee. Pochi elementi per un linguaggio che diventa figurazione mimica, in un gioco chiaroscurale dinamico e suggestivo: ne esce il carattere fantasioso dell’artista che, lasciata per un attimo “l’Altra faccia del Tao”, rispondente alla sua naturale vocazione, s’impone per intuito inventivo e per quella sintesi immediata che diventa comunicazione e dialogo.
Nota biografica: Gianni Robusti, è nato a Varese nel 1946 e vive a Cunardo. Nel laboratorio di ceramica della famiglia ha i primi incontri con il mondo dell’arte. Determinanti quelli con Jean Arp, Hans Richter, Lucio Fontana ed Emil Schumacher. Nel 1946 il laboratorio diventa centro culturale. Da anni studia e approfondisce il rapporto tra arte e sacralità. Nel 1978 è stato uno dei fondatori del movimento Surya a Milano. Nel 1979 ha realizzato la scenografia per il dramma liturgico Sponsus al Teatro di La Spezia. Nel 1983 ha iniziato un rapporto di collaborazione interdisciplinare con il compositore Joanne Maria Pini e Hsiao Chin, che si è concretizzato nel 1984 in Locus (Cenobio-Visualità ass. Milano, Palazzo dei Diamanti di Ferrera, Waterland Museum di Purmerend in Olanda). Nel 1985 aderisce al movimento Shakrti fondato da Hsiao Chin. Nel 1986 è presente, su invito di Arturo Schwarz, alla Biennale di Venezia nella sezione Alchimia. La sua prima personale è del 1975 a Milano. Nel 1990 è invitato da Flavio Caroli alla mostra panoramica della’rte italiana dopo il 1950 al Taiwan Museum of Art di Taichung. In seguito ha esposto in Italia, Israele, Olanda, Danimarca, Francia, Ungheria.
Emilie SCHEFFER
Un grande medaglione in marmo verde per Orino, un paese antico che affonda le sue radici fra Romanità e Medio Evo. Il gioiello, fermato da tre decori floreali realizzati in ferro battuto, unisce alla forza espressiva del sigillo la morbida e sinuosa linearità del segno arabescato: al primitivismo della forma circolare si associa il gusto raffinato dei racemi che, a guisa di mani, offrono allo spettatore un dono carico di valenze simboliche. Un’opera, apparentemente semplice, che concentra in sé lontane risonanze e antichi valori, che oscillano tra arte tribale e simbolismo liberty. La pietra, finemente levigata e lucidata, diventa brillante che irradia luce, assurgendo a segnale di identità: non è un caso che l’artista, interprete e creatrice essa stessa di nuovi sistemi lessicali, abbia voluto dare alla sua opera una precisa connotazione linguistica, capace di comunicare una forma di bellezza, pura e fortemente significante. Così, la casa stessa, che ospita il gioiello, diventa scrigno gemmato.
Nota biografica: Emilie Scheffer nasce nell’Ile de France, un giorno di Natale. Dopo gli studi a Parigi, lavora a Bruxelles per la CEE nel quadro di un programma di linguistica computazionale che l’ha vista collaborare anche con la NASA. Di ritorno in Belgio, frequenta gli ateliers di Jespers Tytgat e Van Hoff. Consolida i suoi rapporti con Michel Parmentier del Gruppo BMPT. In Italia, partecipa all’attività promossa dall’Atelier della Dolce Arte di Osmate. Condivide ed accompagna l’esperienza di gruppi come la Patafisica, diretta da Enrico Baj, e l’Oulipo, che ha come protagonisti Calvino, Perec e Roubaud. La sua pittura è una ricerca costante per avvicinarsi alla materia ed affermare una continuità con la poesia e la letteratura. Nella consapevole certezza del legame reciproco delle arti visive e foniche, L’artista opera contaminazioni tra scienza e letteratura.